intervista a Livia Sambrotta

Intervista a Livia Sambrotta

Intervistiamo Livia Sambrotta che ci parla del suo libro “Non salvarmi”, di cui abbiamo parlato nel nostro blog.

Cosa ti ha ispirato a scrivere questo libro?

Non salvarmi è ispirato a dei fatti realmente accaduti. Negli anni 2010 un celebre produttore hollywoodiano decise di ritirarsi nel deserto dell’Arizona per fondare un centro di recupero per ragazzi con problemi di dipendenze. I pazienti erano tutti figli di star del cinema. Sono stata subito affascinata da questa parabola umana: una persona che all’apice del proprio successo decide di scomparire per avviare nel deserto un progetto comunitario.
La domanda che mi sono posta è stata: cosa può spingere un uomo ad abbandonare il potente e glamour mondo del cinema per una scelta così estrema? La risposta la troverete nel mio romanzo. Oltretutto a Milano ho avuto la possibilità di conoscere una persona che aveva lavorato nel vero ranch in Arizona fondato nel 2010. Grazie a lui sono risalita alla vera vita che si svolgeva in questo centro di rehab attraverso testimonianze, informazioni e reportage fotografici. Tutta la descrizione del ranch e i metodi di cura che troverete nel libro sono stati riportati esattamente uguali rispetto a quegli anni. 

C’è un personaggio in cui ti identifichi di più?

Tutti i personaggi contengono qualcosa dello scrittore che a volte si esprime addirittura in forma inconscia per l’autore stesso. Paradossalmente il personaggio a cui mi sono legata di più è Paula, una ragazza distantissima dal mio modo di essere. Paula è ricoverata nel ranch e soffre di un disturbo psicologico che la porta ad avere una dipendenza verso il sesso. La ragazza usa infatti il suo corpo per ottenere ciò che vuole e poter manipolare gli altri. Il suo comportamento nasce da uno schema di potere che imparato proprio da suo padre. Infatti il genitore è un potentissimo produttore hollywoodiano disposto a tutto pur di mantenere il suo successo. La madre di Paula invece è una donna ossessionata da tutto ciò che la circonda. Il mix ideale per generare in Paula fin da bambina dei comportamenti moto aggressivi verso gli altri. La ragazza in realtà nasconde una ferita emotiva molto profonda. Mi sono sentita molto vicina a lei quando nel romanzo, nonostante i suoi comportamenti pericolosi, ho cercato di regalarle anche in poche parole una goccia di compassione.

Questo libro si adatterebbe molto bene ad un’opera teatrale, stai pensando di realizzarla?

Mi piacerebbe molto, anche se non ho mai lavorato per il teatro. Sarebbe bellissimo però vedere in scena i miei diversi protagonisti, essendo infatti un thriller corale con molte vicende umane si presterebbe molto a una rappresentazione sul palcoscenico.

Te la senti di raccontarci le tue esperienze personali che hanno influito nella scrittura di questo libro?

Come dicevo prima lo scrittore proietta sempre qualcosa di sé nelle sue storie anche quando sono completamente frutto dell’immaginazione. In questo caso il mondo del cinema, che è la mia realtà professionale, ha avuto su di me una forte influenza. Il cinema è l’arte che per eccellenza sublima i desideri e Non salvarmi è una storia che va toccare l’impulso che avvertiamo tutti noi di realizzare i nostri sogni.
L’ambizione è una pulsione molto forte che ci accomuna. È l’aspirazione a realizzare chi siamo veramente e i nostri talenti. Esiste però un confine molto sottile tra desiderio puro e ossessione. Il primo se giustamente ascoltato conduce al compimento delle nostre capacità più profonde e si tramuta in una forza generativa che non solo arricchisce la nostra vita ma anche quella delle persone intorno a noi. L’ossessione invece è un impulso che si impone al di là della nostra volontà, che ci ingabbia e ci allontana sempre di più dalla nostra migliore proiezione di noi stessi. I miei personaggi vivono la loro ambizione in bilico tra questi due mondi, il sogno e allo stesso tempo la sua deriva. La differenza tra una dimensione e l’altra è proprio il nostro ego: se al desiderio anteponiamo solo noi stessi senza rendercene conto ci isoliamo e ci ritiriamo di fronte alla possibilità di vivere una vita piena e gratificante. 

Cosa consigli ai lettori come premessa prima di iniziare a leggerlo?

Credo che ognuno abbia i propri percorsi letterari e che non esista un’unica bussola con cui orientarsi.
L’importante è che l’autore abbia lavorato duramente per regalare al lettore la migliore esperienza narrativa possibile. Il mio romanzo è stato letto da molti amanti del genere thriller ma anche da lettori che abitualmente non leggono questo tipo di storie.
Entrambi lo hanno amato, trovando nel racconto diversi
significati. Se lo scrittore di thriller sarà bravo, fin dalla prime pagine il lettore non potrà staccarsi dalla storia. Questo è quello che vi auguro di vivere con il mio romanzo!

Parlando della comunità che descrivi, pensi che sia utile per i ragazzi tossicodipendenti affrontare la rinascita a contatto con gli animali e la natura?

Credo che la natura abbia una funzione primaria nella vita di tutti noi e quindi anche nella vita di coloro che hanno bisogno di intraprendere un percorso riabilitativo. La natura contiene tutti i valori per poter vivere una vita sana, equilibrata e felice. Il problema è che troppo spesso ce ne dimentichiamo. Basta osservare i processi delle altre forme viventi per capire che tutto il sistema che ci tiene in vita è basato sulla cooperazione, l’integrazione e l’interdipendenza. Il contatto con la natura ci insegna questi valori attraverso la semplicità dell’istinto più autentico.
Credo sia quindi importantissimo che i ragazzi in difficoltà possano entrare in contatto con la natura e che possano imparare a prendersi cura di altri animali. Nel romanzo viene detto che occuparsi di un altro essere vivente equivale a prendersi cura di se stessi. Di questo sono fermamente convinta. 

Quali sono i punti fondamentali del tuo libro da cui prendere spunto?

Ci sono tante riflessioni nel romanzo che toccano diversi temi: il conflitto generazionale, il desiderio di realizzarsi, il mondo del potere che ci circonda obbligandoci a indossare delle maschere, fino alle dipendenze, in primis quelle affettive, le più insidiose e difficili da riconoscere.
Ogni personaggio cova all’interno di sé un dolore profondissimo che si svelerà nel corso della storia e con cui si troverà a dover fare i conti. In realtà ogni tema è correlato all’altro e la domanda più scottante del romanzo è sicuramente: chi voglio essere?
La risposta ogni protagonista la troverà in un modo diverso.  

Grazie di cuore a Livia, per averci concesso questa intervista!